Il contagio pasquale

Vivere la Settimana santa nelle nostre case

Ci stiamo preparando alla celebrazione della Settimana Santa e della Pasqua nelle case. Si tratta di una situazione inedita che ci porta a pensare che non sia possibile vivere i riti del Triduo Pasquale senza celebrarli nelle chiese. Eppure anche in questa situazione si aprono spazi per ricuperare una coscienza di Chiesa. Possiamo partire da una immagine tratta dal libro dell’Esodo, pensando al popolo di Israele che deve stare quarant’anni nel deserto prima di entrare nella Terra promessa: “Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda” (Es 33,8).  Dobbiamo immaginare il popolo costituito da famiglie, ciascuna ferma alla propria tenda. E’ Mosè che si presenta alla tenda del convegno davanti a Dio. Mosè non è solo, ma accompagnato dalla coscienza di quelle famiglie di appartenere al popolo dei salvati. Le famiglie non sono isolate ma partecipano al gesto di Mosè e si sentono coinvolte pur non essendoci una assemblea plenaria: seguono con lo sguardo Mosè. Ogni capofamiglia è come se fosse sacerdote nella sua tenda e sostiene il resto della famiglia a sentirsi parte del gesto di Mosè. Questa situazione ci ricorda la situazione attuale con la Messa celebrata dal nostro Vescovo e trasmessa in TV. E’ il Vescovo che celebra, come Mosè che si reca alla tenda del convegno, e le famiglie partecipano da casa a quel gesto che le riunisce: seguono con lo sguardo il Vescovo.

Ma di quali famiglie stiamo parlando? E di quale partecipazione si tratta? Penso a ogni tipo di famiglia che abita nella nostra Parrocchia, non solo quelle composte da genitori e figli, ma anche da persone anziane o single o persone separate. Per tutti è possibile partecipare alla vita della Chiesa sentendosi Chiesa. In che modo? Pensiamo ai riti della Settimana Santa. Si possono vivere su due livelli. Un primo livello è quello di “assistere” ai riti celebrati dal Vescovo attraverso la TV o i social. Un secondo livello è quello di partecipare nelle case “celebrando” in modo autentico sia questi riti sia una preghiera familiare semplice, cioè di non limitarsi a essere semplici spettatori. In questo caso siamo come le famiglie di Israele ciascuno alla porta della propria tenda. Per esempio se la domenica delle Palme si può assistere a una celebrazione solenne del nostro Vescovo non saremo solo spettatori televisivi. Potremo pregare autenticamente in famiglia utilizzando un semplice sussidio per essere parte attiva di quella celebrazione, sapendo che tante altre famiglie nello stesso momento stanno vivendo la stessa esperienza. Inoltre potremo usare un testo semplice o una immagine per una preghiera insieme in casa come se avessimo portato l’ulivo, che quest’anno non potrà essere distribuito. Questo semplice sussidio sarà preparato in Parrocchia. La preghiera in casa è un gesto reale di Chiesa e ci fa assomigliare alle famiglie alla porta della loro tenda che vedono passare Mosè ma in un certo modo partecipano di quel passaggio. Così potrà essere per i riti del Giovedì santo, del Venerdì santo e della veglia Pasquale, oltre che naturalmente per il giorno di Pasqua.

Il vero problema è come essere raggiunti e informati in modo da avere a disposizione questi segni, questi testi. Se per le famiglie di Israele era più facile stare alla propria tenda e veder passare Mosè, per noi potrebbe essere più difficile. Anche se avessimo a disposizione una lista di mail sterminata, la partenza delle informazioni da un centro, da una segreteria sarebbe ancora un gesto che non coinvolge. Occorre invece coinvolgersi nella comunicazione diventando attivi. Questo cambierebbe tutto. Se ci pensiamo già lo facciamo con WhatsApp: ciascuno di noi riceve molti messaggi da contatti conosciuti e li rilancia ad altrettanti contatti. Quando non vengono percepiti come spam, i messaggi possono essere molto efficaci. Occorre allora produrre un “contagio pasquale”, in analogia alla triste realtà del contagio del virus. Se qualcuno di noi in qualità di “credente zero” incomincia a mandare a persone conosciute la notizia che il Giovedì santo potrà assistere alla Messa del Vescovo e gli comunica il foglietto o il link al sito della Parrocchia per trovare lì il foglietto della preghiera da vivere in casa e lo prega di rilanciare l’invito ad altre persone conosciute, allora si avvia il “contagio pasquale”. Si raggiungono non solo moltissime persone della Parrocchia ma li si raggiunge in modo personalizzato, da amico ad amico, da conoscente a conoscente, facendosi riconoscere. Questa qualità della comunicazione cambia la comunicazione e costruisce un tessuto comunitario parrocchiale. Dobbiamo abbandonare il modello della Parrocchia centrata sul Parroco che manda gli avvisi a tutti e scoprire il modello di Chiesa in rete, in cui ciascuno per la dignità di Battezzato, ha la responsabilità della Chiesa intera. Nel metodo non c’è nulla di straordinario perché già lo mettiamo in pratica ogni giorno con il rilancio dei WhatsApp, ma ciò che può essere curato è lo stile, nel farsi riconoscere, nel mostrare che si ha a cuore la persona. Che può qualificare questa comunicazione è certamente il contenuto, non semplice messaggio ma messaggio della comunità. Se questo diventa uno stile in modo che anche nel futuro la Parrocchia possa contare su questa comunicazione che coinvolge, potremo dire di aver guadagnato un livello di coinvolgimento nella comunità migliore di quello attuale. Lo stile è leggero perché non occorre che ci si organizzi o che tutti scrivano a tutti, ma è sufficiente che si usino i propri contatti personali. Negli atti degli Apostoli si riporta una situazione simile: la notizia che dopo il primo discorso di Pietro furono aggiunte alla comunità più di tremila persone. Ciascuno di essi aveva colto l’invito personalmente rivolto a se stesso da parte degli apostoli che gli aveva toccato il cuore. Era avvenuto il contagio pasquale. E non c’era ancora WhatsApp.

Don Natale

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