Sguardo di pace

In questi mesi in cui la Chiesa celebra la liturgia secondo le disposizioni anti-contagio, ci è stato chiesto di sospendere anche il rito dello scambio della pace. E tuttavia alcuni gesti della liturgia non possono essere soppressi, poiché una liturgia priva di espressione e contatto corporeo rischia di cedere il passo a un cristianesimo senza carne, che si ripiega sul piano “spirituale” e talora esclusivamente mentale. Per questo motivo in questi giorni i vescovi italiani hanno saggiamente proposto di ripristinare questo rito attraverso lo “sguardo di pace”, una modalità possibile e peraltro già da noi praticata fin dall’inizio della pandemia.
La liturgia infatti vive anche attraverso i gesti del corpo: Gesù stesso abitando la nostra umanità si è continuamente relazionato ai discepoli, alle folle e ai suoi cari attraverso il suo corpo formato da emozioni, sentimenti e gesti: ad esempio quando “guardò e amò” il giovane ricco, o la compassione con cui guardò la vedova di Nain che aveva perso il suo unico figlio, la profondità con cui vide e chiamò Levi a seguirlo e lo sguardo misericordioso che rivolse a Pietro dopo il suo rinnegamento. Recuperare la bellezza dello sguardo non costituisce perciò per la Chiesa, in questi tempi del Covid-19, un semplice espediente liturgico. Si tratta piuttosto di afferrare una possibilità nuova che questa crisi ci consegna: scoprirsi guardati dall’Amore, per guardarci con amore. Lo sguardo infatti svela i sentimenti inespressi o rimossi, la fragilità che temiamo di condividere, gli errori di cui ci vergogniamo. Gli occhi sono come finestre, che mentre fanno scorgere quello che siamo dentro, ci permettono di accedere all’incontro con l’altro e con la realtà. La cura dello sguardo libera dai pregiudizi e apre al calore umano. Lo “sguardo di pace” della messa festiva ci invita così a educare e a guarire il nostro sguardo anche nelle relazioni della vita di tutti i giorni feriali.

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