Centro d’ascolto: “antenna dei bisogni”, in un mondo che cambia

Giovanna Osella, punto di riferimento per questo servizio fin dagli anni ‘70

Un’antenna, essenziale per venire a conoscenza dei bisogni delle persone intorno a noi, per capire come cambiano. Questo è, per una parrocchia, il centro d'ascolto. E per questo è fondamentale che ogni comunità impieghi le energie necessarie per tenere in attività, e nel modo corretto, una funzione così importante. Parola di Giovanna Osella, che del centro d’ascolto del SS. Redentore è stata la colonna portante per moltissimi anni e che sottolinea senza mezzi termini: “non è un passatempo, non è una cosa da ridere fare parte di un centro d’ascolto”. Un’esperienza intensa e duratura, la sua, che ci racconta in una lunga videochiamata. Si può facilmente immaginare quanto sia strano ricorrere ad uno schermo, in questi tempi di pandemia, per chi ha svolto il suo servizio a stretto contatto con le persone, in un profondo radicamento con la realtà del territorio. Nata e cresciuta, da sempre, nel contesto del quartiere e della parrocchia, nel 1976 viene coinvolta nelle prime attività di volontariato - “ho iniziato portando l’ulivo nelle case la domenica delle Palme. Ringrazierò sempre i sacerdoti che mi hanno presa da parte e mi hanno chiesto se avessi potuto fare qualcosa di più. Ho risposto subito di sì”. Da lì a qualche anno, era il 1982, diventa responsabile del Centro d’Ascolto, ruolo che ha mantenuto fino al 2019.



Bastano poche frasi per capire che lo stile con cui Giovanna ha affrontato questo percorso è quello del servire con competenza, senza improvvisarsi. Più volte, nel nostro dialogo, sottolinea l’importanza di formarsi, la scelta di seguire corsi di aggiornamento e di mettersi in gioco e in discussione in prima persona: “a me piace parlare molto, lì invece imparavo anche quando stare zitta, a non diventare indagatrice, a non fare domande che potevano mettere in imbarazzo, ho imparato così a fare uscire la persona che avevo di fronte e farmi raccontare quello di cui aveva bisogno”. Uno stile che comporta un certo lavoro personale, e non una semplice disponibilità a qualche ora di volontariato. “Il centro d’ascolto ha sempre attirato molti potenziali volontari, ma non tutti erano disponibili a formarsi. Invece devi essere preparato. Non puoi metterti lì e improvvisare o pendere dalle labbra del vicino. Bisogna saper essere cauti e discreti”.

Una competenza che passa anche dalla conoscenza della realtà circostante e dalla capacità di avere a che fare con i diversi attori in gioco: Giovanna ci parla della collaborazione con gli assistenti sociali, con il sindacato degli inquilini, con i dormitori pubblici. Ci racconta degli incontri in Cosiglio di Zona, di quando - insieme ad altri volontari delle parrocchie del decanato - si riuscì a mettere in piedi una casa d’accoglienza per rifugiati politici. Ci parla delle iniziative rivolte agli anziani e ai disabili e da questi racconti emerge come l’attività del centro d’ascolto si sia poi potuta tradurre in azioni concrete e sia stata da stimolo per la vita della parrocchia e anche per la nascita dei diversi gruppi che, ancora oggi, la compongono. 


Episodi e storie che rendono davvero efficace quell’immagine, l’”antenna dei bisogni”, scelta da Giovanna per descrivere il ruolo di un centro d’ascolto. Un’antenna che negli anni ha potuto anche percepire i cambiamenti del mondo circostante, che alla comunità è andato a presentarsi, via via, con bisogni diversi: “ho iniziato negli anni in cui girava molta droga, c’erano ragazzi drogati anche sugli scalini della parrocchia. Era molto presente il problema dell’alcolismo, anche tra persone giovani, che aiutavamo ad inserirsi nei centri riabilitativi. Con il passare degli anni hanno iniziato a prevalere i bisogni di tipo economico: gente che non riusciva a pagare le bollette della luce e del gas, inquilini sfrattati. È cambiato il profilo delle persone senza fissa dimora: prima erano persone di una certa età, oggi in molti casi sono cinquantenni, uomini separati, che non riescono a mettere insieme l’assegno di mantenimento, ci sono molte persone costrette dal cambiamento della vita e delle situazioni familiari”.


Il racconto di Giovanna è lucido e preciso, ascoltandola si percepisce l’attenzione e la passione che ne ha caratterizzato ogni passaggio. Il cuore della sua testimonianza, però, è nell’esperienza umana, che l’ha segnata profondamente: “è un percorso che mi ha cambiato la vita personale e per questo ringrazio il Signore. Mi ha dato l’opportunità di ridimensionare molte cose. Mi ha cambiato la vita perché ho visto quello che c’era attorno e in alcuni casi mi sono detta ‘Giovanna, datti una regolata!’. Quando mi lamentavo per le mie cose, mi ricordavo sempre che c’era chi stava peggio”. Prima di salutarci, ci lascia un messaggio chiaro e forte: rimboccarsi le maniche in prima persona ti cambia la vita, te la deve cambiare, se questo non succede vuol dire che qualcosa non sta funzionando. “Dico ai giovani di darsi da fare, di guardarsi attorno, di guardarsi negli occhi, di parlarsi al telefono, e intendo alzare la cornetta, non con i messaggi! Sentire la voce delle persone”. Ricordarsi insomma, ogni giorno, di mettersi in ascolto, di essere antenne, per poi dire il proprio Sì.

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